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Etimologia della parola ZEN
Nella manualistica occidentale questo carattere quando viene trascritto in caratteri latini per riportare la sua pronuncia cinese, seguendo il metodo viene indicato come Chán o in Wade-Giles Ch'an. E' da tenere presente, tuttavia, che Chán (e Ch'an) (pronunciato [t??án]) è la restituzione del carattere in mandarino, lingua ufficiale della , derivata a sua volta dal dialetto di Pechino già lingua ufficiale del governo cinese a partire dal XIV secolo. Tuttavia il carattere ? nel cinese medievale veniva, probabilmente, pronunciato come . Ed è molto probabile che i maestri cinesi dei pellegrini giapponesi, nonché i missionari cinesi della scuola Chán giunti in Giappone intorno al XIII secolo, pronunciassero questo carattere in cinese medio, da qui la resa in giapponese di Zen. Questo termine è dunque un prestito linguistico dalla lingua cinese medievale, e fu utilizzato fin dalla prima introduzione del Buddhismo in Cina per rendere, non solo foneticamente, il termine sanscrito che nell'insegnamento del Buddha indicava i graduali stati di coscienza caratterizzati da profonda comprensione che scaturiscono dall'esercizio del Samadhi, ossia la concentrazione meditativa. In seguito, in diverse forme composte, qui sempre restituite in come Chanseng, Chanshi (Monaco meditante, Maestro della meditazione), divenne una definizione generica per una categoria di religiosi che si dedicavano specialmente alla meditazione. Sembra che in questo ambito sia nata la tradizione e che adotterà questo termine come vera e propria denominazione specifica del proprio lignaggio (cinese: Chánz?ng, giapponese: Zensh? ??, la tradizione del Buddhismo Zen)
Cos'è lo Zen
È l'atto puro, l'azione diretta che lo Zen predilige, assieme a tutti quei modi di rapportarsi all'esperienza senza troppi vincoli culturali e dunque all'intuizione. Degna di nota è la particolare concezione della vacuità, che si distacca totalmente dal nichilismo occidentale. Se per l'Occidente infatti esso si presenta per lo più come morte, cessazione, mancanza, privazione e negazione, il "mu", l'indicibile nulla dello Zen, è qualcosa di estremamente dinamico, stato germinale di tutte le cose, condizione di ogni possibilità, contenitore del tutto.
Uno dei modi di indicarlo è l'Enso (qui a lato), un ideogramma dalla forma circolare che è tra i simboli più significativi dello Zen. Collegate a tale dottrina è possibile trovare numerose pratiche appartenenti a campi eterogenei. Origine e fondamento delle arti e della cultura, lo Zen ispirò la poesia (haiku), la cerimonia del tè (cha no yu o chado), l'arte di disporre i fiori (ikebana), l'arte della calligrafia (shodo), la pittura (zen-ga), il teatro (No), l'arte culinaria (zen-ryori, shojin ryori, fucha ryori) ed è alla base delle arti marziali (es. aikido, karate, Judo), dell'arte della spada (kendo) e del tiro con l'arco (kyudo).
Obiettivo dello Zen è pervenire al satori, l'illuminazione che porta a un più alto livello di coscienza. Satori e vuoto sono due concetti complementari che si sostengono l'un l'altro, e proprio dalla concezione zen del vuoto è possibile capire la differenza tra il Nirva?a della tradizione buddista e il satori. Se il primo si presenta infatti fondamentalmente come rinuncia al mondo e distacco da esso, proprio come nell'ascetica noluntas di Arthur Schopenhauer, il satori si propone una partecipazione attiva e consapevole al mondo e non una fuga da esso.
Lo Zen preferisce l'attività alla speculazione intellettuale e si distingue dalle altre scuole buddiste per aver reso essenziale e centrale la cosiddetta pratica nel raggiungimento del satori.
Tra le pratiche zen si distingue in modo particolare lo zazen, la meditazione stando seduti. Il termine deriva da "za", seduto e "zen", meditare e indica proprio la meditazione da seduti, su un cuscino detto "zafu", accompagnata da particolari posizioni delle mani e determinati ritmi respiratori, con l'obiettivo di portare la mente a un vuoto produttivo.
Un'altra pratica è il kin-hin (let. "marciare in linea retta nel verso della trama di un tessuto"), la meditazione camminando.
KOAN
« Se intraprendete lo studio di un koan e vi ci dedicate senza interrompervi, scompariranno i vostri pensieri e svaniranno i bisogni dell'io. Un abisso privo di fondo vi si aprirà davanti e nessun appiglio sarà a portata della vostra mano e su nessun appoggio si potrà posare il vostro piede. La morte vi è di fronte mentre il vostro cuore è incendiato. Allora, improvvisamente sarete una sola cosa con il koan e il corpo-mente si separerà. ... Ciò è vedere la propria natura. »
(Hakuin, Orategama ????)
Koan è la pronuncia giapponese dei caratteri cinesi (pinyin gong'àn, Wade-Giles kung-an; in coreano gong-an o kong'an, in vietnamita công án). Il Koan è un termine proprio del Buddhismo Zen e, nei suoi corrispettivi linguistici, della scuola cinese da cui è derivato, il Buddhismo Chán, e delle rispettive scuole coreane (dette Seon o Son sopratutto nella scuola Jogye jong) e vietnamite (dette Thi?n) anch'esse derivate dal Buddhismo Chán. Questo termine indica lo strumento di una pratica meditativa, denominata ??? (cin. kànhuà chán, giapp. kanna zen) propria di queste scuole, consistente in una affermazione paradossale o in un racconto usato per aiutare la meditazione e quindi "risvegliare" una profonda consapevolezza. Di solito narra l'incontro tra un maestro e il suo discepolo nel quale viene rivelata la natura ultima della realtà.
La pratica del koan consiste in un tema affidato dal maestro zen al discepolo cui chiede la soluzione. Uno dei più conosciuti koan è quello del maestro Zhàozhou Cóngshen ( giapp. Joshu Jushin, 778-897):
« Una volta un monaco chiese al maestro Zhàozhou: 'Un cane possiede la natura di Buddha?'.
Zhàozhou rispose: ' Wú! (No!)' » (1° gong'àn del Bìyán lù (???))
La risposta wú (? giapp. mu), che non rappresenta comunque la negazione della natura del Buddha nel cane, è l'elemento principale del koan, ed è l'oggetto di meditazione, denominato ?? (cin. huàtóu, giapp. wato), che impegnerà il discepolo zen in ogni sua attività quotidiana. Durante un colloquio con il maestro, solitamente quotidiano e denominato ?? (cin. dúsan, giapp. dokusan), l'allievo zen offre la sua risposta al koan (nel caso dell'esempio cosa significasse la risposta wú pronunciata dal maestro Zhàozhou) che testimonierà la sua o meno realizzazione della "visione dell'essenza" o "comprensione della realtà" denominata ?? (cin jiànxìng, giapp. kensho).
Oggi le uniche scuole buddhiste che utilizzano questa tecnica meditativa sono le scuole giapponesi Zen Rinzai e Sambo Kyodan, quella coreana Son (nella quale viene spesso praticato un singolo koan per tutta la vita) e quella vietnamita Thiên.